lunedì 28 febbraio 2011

Occhiali

Ieri sera, leggendo la sua avventura, mi sono immedesimato in Amilcare Carruga. Se vi interessa un riassunto del racconto leggete fra le parentesi quadre.

[Amilcare Carruga : “ancor giovane, non sprovvisto di risorse, senza esagerate ambizioni materiali o spirituali: nulla gli impediva, dunque, di godere la vita”. Ma soprattutto miope. Da un po’ di tempo non si godeva più la vita: i film al cinema, le ragazze in strada... tutto gli appariva scialbo.  Si accorse che il problema non era di natura psicologica ma oculistica: era miope. Con un paio di occhiali tutto avrebbe riacquistato la vividezza di quando era in grado di godersi la vita. E la riacquistò, ma lui era diventato “uno con gli occhiali”: uno che per chi non lo conosce diventa “quello con gli occhiali”. Per primi se ne prese un paio di quelli che non si notano, da lontano si sarebbe detto che non li avesse. Ma allora era come se fossero parte di lui, quegli occhiali che fino al giorno prima non aveva mai portato, quegli occhiali che erano tutto tranne che parte di lui. Gli entrarono subito in odio e quindi non tardarono a rompersi. Optò allora per una montatura esageratamente appariscente. Ora gli occhiali erano davvero qualcosa che non era lui e che non poteva farne parte. Ma ora chi avrebbe detto che dietro quella maschera di plastica nera c’era proprio Amilcare Carruga? Tornò nella sua città natale, una piccola cittadina dell’Italia settentrionale dove tutti, di vista, si conoscono e dove si usa, di sera, passeggiare per la via principale. Camminò per quella via riconoscendo e salutando moltissimi visi che se ricambiavano il saluto era solo per un riflesso incondizionato, non certo perché avevano riconosciuto Amilcare Carruga, che mancava da quella città da chissà quanti anni, dietro quell’impalcatura che si era poggiato sul naso.  Decise di continuare a passeggiare senza gli occhiali e allora sì che qualcuno (ma chi?) lo salutava (salutava davvero lui?). Non distingueva che sagome. Con gli occhiali lui non era lui, senza occhiali gli altri non erano gli altri. Continuò per il corso fino ad arrivare in un posto appartato, dove si usava andare con le “ragazze a braccetto, chi aveva una ragazza, oppure se si era soli ci si andava per stare più soli, a sedersi su una panca e a sentir cantare i grilli. C’era la panca, il fosso, i grilli, come prima. Amilcare Carruga si sedette. Gli occhiali, a metterseli o a toglierseli, lì era proprio lo stesso. Amilcare Carruga capiva che forse quell’esaltazione degli occhiali nuovi era stata l’ultima della sua vita, e adesso era finita.” Avventura di un miope ne ‘Gli amori difficili’ di Italo Calvino.]

All’inizio mi infastidisce immedesimarmi nei personaggi -(anche se oramai con Calvino sono abituato)- perché penso, senza pensarci davvero, “cavolo! Avrei potuto scriverlo io”. Poi penso davvero: mi accorgo di non aver scritto proprio niente in vita mia, e di non averci neanche provato. Quindi no, non avrei potuto scriverlo io. Semmai avrei voluto scriverlo io. E continuo a leggere. Ogni tanto penso “già, avrei fatto proprio così” oppure “no..non è proprio da me”, magari non lo penso ma lo so mentre leggo, e la lettura è più gustosa.
Non ci vedo male, posso stare senza occhiali senza causare danni a cose o persone. Non è detto però che sappia a cosa o a chi non causo danni. Ho saltato, a differenza di Amilcare, il passaggio degli occhiali poco visibili. Me li avevano consigliati (“non hai mai portato gli occhiali! Così cambi il meno possibile. Prendi degli occhiali che neanche si vedono, se ce li hai o no non se ne accorge nessuno”). Non ero convinto, e non li presi. Degli occhiali che ci sono e non si vedono. In generale mi puzza l’idea qualcosa che c’è ma non si vede. E se invece dell’idea è proprio l’oggetto ad esserci, e per di più sopra il mio naso, allora la puzza è insopportabile. Sì, magari da lontano sarei rimasto uno senza occhiali, ma da vicino sarei stato non solo uno con gli occhiali ma , come Carruga, uno con quegli occhiali che non si notano ma che fanno pensare che ce li abbia sempre avuti, un veterano degli occhiali. Uno con gli occhiali che fanno parte di me. E io non sono mai stato uno con gli occhiali. Non li ho presi. Ho optato subito per una montatura vistosa, di plastica nera (“alla woody allen” mi hanno detto. Non sono tondeggianti come quelli di Woody, ma la quantità di plastica è simile). Io sono io e sopra il mio naso ci sono degli occhiali, che sono degli occhiali. All’inizio ero entusiasta, proprio come Carruga, della vividezza delle immagini. Insegne dei negozi, nomi delle vie sui cartelli, riflessi della luce sulla carrozzeria della macchine. Spesso alzavo sopra gli occhi e riabbassavo sugli occhi le lenti, apprezzando la vistosa differenza.                                                                         
Ma farmi vedere con gli occhiali da persone che non conoscevo o conoscevo appena mi metteva a disagio. A chi mi vedeva per la prima volta sarebbe rimasta nella mente la mia immagine di uno con gli occhiali, magari neanche il mio nome. E chi già mi conosceva mi diceva che con quegli occhiali non sembravo più io, erano troppo appariscenti: il mio viso era troppo dietro gli occhiali. Presi a portare sempre meno gli occhiali, almeno in compagnia di altre persone.                                                                      
Così ora metto gli occhiali per lo più quando sono da solo. Quando guido (e ancora mi alletta l’idea di leggere le targhe di macchine che si allontanano, fare confronti tra scritte a distanze diverse: quella la leggo bene, oh anche senza occhiali! Quella laggiù però non la distinguo, senza occhiali però non riconoscerei neanche il cartello, se non sapessi già della sua esistenza, della sua esatta posizione e persino del suo graffio sulla lettere F). Mi affretto a toglierli però quando riconosco qualcuno che passeggia sul marciapiede, che potrebbe vedermi. Col quale magari incrocerò lo sguardo e accennerò ad un saluto come se lo avessi appena visto anche io, senza occhiali. Subito dopo rinforco gli occhiali e proseguo.
Così ora porto gli occhiali sempre nella borsa a tracolla, nella loro custodia, indossandoli occasionalmente, per pochi attimi. Alla fermata dell’autobus, proprio come Carruga, quando intravedo il lontananza un autobus senza riuscire a distinguerne il numero e meravigliandomi ogni volta di quanto nitide appaiano le lettere e i numeri se viste da dietro le lenti. Quando non riesco a leggere il nome sbiadito sul cartello della via che lì infondo gira a destra, che magari è quella in cui sono diretto. Quando mi pare di riconoscere qualcuno che viene incontro a me o che sta salendo sul tram, che incrocia il mio sguardo nudo, e non so se accennare un saluto.
L

2 commenti:

  1. Giusto. Gli occhiali servono a vedere, mica a guardare. Stai attento a non fare incidenti con il gioco delle targhe però!

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  2. ti consiglierei le lenti a contatto, ma poi... chi li scriverebbe più post come questi? :-)

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