Un blogger si sedette sulla sua sedia davanti al computer acceso, convinto a scrivere un nuovo post. Posò le mani sulla tastiera, sospirando. Ma subito si voltò verso sinistra, verso la finestra aperta e si accorse, con comprensibile disappunto, che gli mancava qualcosa di indispensabile per iniziare a scrivere. Eppure, lo avrebbe giurato, era lì fino ad un attimo prima, con lui- dentro di lui, possiamo dire. Che l'avesse smarrita in quel breve istante in cui aveva sospirato? O l'ha persa di vista quando si è voltato verso la finetra-e magari è uscita proprio da lì, dalla finestra aperta? Non sapeva spiegarsi come fosse accaduto, e soprattutto dove fosse finita. Il blogger non si perse d'animo. Superato il disappunto iniziale, si decise a ritrovarla (necessariamente: non avrebbe potuto scrivere quello che aveva in mente fino a poco prima). Sicuramente era lì da qualche parte, non poteva essersi allontata molto. Si alzò e per prima cosa chiuse la finestra. Si sedette nuovamente, forse sarebbe tornata tra qualche istante, forse addirittura era lì e lui non se ne accorgeva. Per un attimo gli sembrò di vederla e posò subito le mani sulla tastiera. Stavolta non sospirò, ma poco dopo appiattì le labbra su una sensazione di disagio. Si accorse che lì proprio non c'era. E forse, non lo avrebbe giurato ma ora gli sembrava più che probabile, l'aveva persa ancora prima di mettersi a sedere la prima volta. Allora si alzò e andò a cercarla. Dov'era stato? L'aveva lasciata in cucina mentre faceva il caffè? La cercò, fra la polvere e la caffettiera. Forse sul letto mentre leggeva? Fra i cuscini non c'era, e non era neanche nascosta fra le righe del libro che stava leggendo poco prima, di cui rilesse, inutilmente, le ultime pagine. Non l'avrà lasciata in bagno? Sì, forse mentre si faceva la barba (o ancora prima sotto la doccia?). Ecco- si ricordò- l'ultima volta che l'aveva vista nitidamente era proprio sotto la doccia. Vi entrò di nuovo e riaprì l'acqua. Nudo e pulito sotto la doccia che aveva usato da poco, ingobbito con il pollice el'indice della mano destra che incorniciavano il mento, e nessuna traccia di quello che cercava. Eppure prima era lì, nella doccia, di questo ne era sicuro. Almeno quanto lo era del fatto che ora, lì, quello che stava cercando non c'era più. Pensò che, forse, l'aveva persa proprio lavandosi per la prima volta. Ce l'aveva prima di entrare nella doccia e poi se l'era sciacquata via, e ora aveva peggiorato la situazione, facendosi di nuovo la doccia. Si ricordò della finestra, l'aveva chiusa! E se fosse davvero uscita di lì proprio mentre stava per scrivere? Si precipitò ad aprire la finestra. Si affacciò. Neanche a dirlo, non la vide. Accese lo stereo e riascoltò le ultime canzoni (che si fosse nascosta in una di loro?). Note note, niente di nuovo. Rassegnato si buttò sulla sedia, davanti al faccione quadrato del computer. Sospirò. Si guardò di nuovo intorno, a destra e a sinistra,verso la finestra, ma senza la speranza di ritrovare ciò che cercava. Si rese conto che l'idea che aveva per quel post era uscita definitivamente da lui, dalla sua casa e forse dal mondo. Non c'era più e inutile era stato cercarla dappertutto. Quindi posò le mani sulla tastiera, sospirò, e iniziò a scrivere.
Posterulam era una piccola porta situata nella parte posteriore degli edifici, in un luogo nascosto. La postierla era quindi una porta segreta usata nei castelli e nelle fortezze come uscita di emergenza.
martedì 24 maggio 2011
lunedì 16 maggio 2011
sguardi randagi
Era mezzanotte passata quando una ragazza,sui vent'anni, chiudeva il garage senza badare al rumore che spargeva nella notte. Il garage era in fondo a una ripida discesa e ora le toccava risalire, stanca com'era, con tutte le borse che aveva. Arrivò in cima, sulla strada, con il fiatone e pensò che la vista dei cassonetti della spazzatura - che ancora non aveva guardato, ma che sapeva essere lì davanti, dall'altra parte della strada- non era la giusta ricompensa. Li guardò come per cercare una conferma. Che non arrivò. Stavolta infatti c'era un gatto, piccolissimo, nascosto per metà dietro uno dei cassonetti. L'altra metà guardava la ragazza, la quale a sua volta fissava metà muso, metà corpo e la zampa del gatto. Per la verità non sembrava che stesse nascondendosi, ma che stesse aspettando qualcuno. Questo almeno pensò la ragazza guardando quel mezzo sguardo lanciato da dietro al cassonetto. Il gatto allora, piegando il collo, fece sporgere tutto il muso, lasciando il resto del corpo per metà nascosto. La ragazza per un attimo pensò che aveva ragione, che quel gatto aspettava in disparte qualcuno che ora era arrivato e che quindi ora rinforzava lo sguardo mostrando entrambi i piccoli occhi come per dire "eccoti finalmente... sono qui, dietro il cassonetto". Per un attimo pensò questo, mentre si riconosceva in quello sguardo. Ma subito si convinse che quello era un gatto randagio, che se si fosse avvicinata sarebbe subito scappato. Superò i cassonetti e si diresse verso casa. Dopo pochi passi si fermò. Il gatto era rimasto lì, aveva solo rialzato il muso, nascondendolo di nuovo per metà. La persona che stava aspettando non era quella ragazza, che se n'era andata, e lui si era rimesso ad aspettare. La ragazza tornò indietro e lo ritrovò lì, con lo stesso sguardo, ad aspettare. Ora era molto vicina al gatto, e si meravigliò che non fosse scappato sentendo dei passi che si avvicinivano. Provò diffidente ad accazzerarlo. Il gatto non si mosse mentre la mano della ragazza si avvicinava, e appena lei toccò il suo muso, il gatto si sdraiò per terra iniziando a giocare con le dita della ragazza, dando piccoli morsi e afferrandole con le zampe. La ragazza, meravigliata, si piegò sulle ginocchia e rimase per un po' a giocare con il gatto alla luce fioca di un lampione che a stento illuminava quella strada deserta, con le borse ancora in spalla, piene di stanchezza, ma con il sorriso sulle labbra. Decise di andare via con la speranza che il gatto la seguisse, almeno per alcuni passi. Si alzò, il gatto rimase per un attimo disorientato, poi si rimise in piedi pure lui e forse guardò la ragazza andarsene. Lei guardò più volte indietro, ricercando quello sguardo che conosceva. Voleva che il gatto la seguisse. Ma tornò a casa, randagia.
giovedì 5 maggio 2011
sottofondo
L'altroieri, alla feltrinelli di Roma sulla via Appia, c'era la presentazione del libro più dvd de 'La pecora nera'. Fra le altre cose si è parlato del fatto che siamo sempre accompagnati da un suono, una musica di sottofondo o anche un semplice ronzio, e a volte neanche ce ne accorgiamo, perché è un rumore costante, e ci facciamo l'abitudine: quanti di noi presenti alla presentazione, per esempio, si sono accorti del rumore del condizionatore della feltrinelli? Eppure, facendoci caso, si sentiva anche quando Celestini ha ricominciato a parlare del suo film. Un suo amico gli ha raccontato che nell'albergo dove alloggiava, a New York, si era accorto che in tutte le sale e i corridoi c'era un ronzio costante. Nelle camere c'era un interretture per regolarne il volume, o spegnerlo. Ma in tutto l'albergo c'era continuamente questo ronzio, che serviva per non far sentire il traffico esterno. Cioè tu senti il ronzio, ti ci abitui e non lo senti più, però intanto il ronzio ha ovattato i clacson e i motori di fuori.
Un paio di anni fa, ero dal dentista. Io avevo finito, mentre mio padre era ancora sulla poltrona del paziente. Quando entrai vidi lui (seduto e con uno specchietto in mano intento a vedere la differenza tra il suo dente nuovo e tutti gli altri), il dentista e l'assistente erano in piedi, vicino alla poltrona. C'era qualcosa di familiare nella stanza, e non mi riferisco a mio papà. Per un attimo stettu in piedi a fissare qualcosa a caso cercando di capire perché quella sala mi faceva pensare a quando andavo a scuola, da piccolo, accompagnato da mia madre. Ci misi un po' per riuscire a sentire che, non so da dove, proveniva a bassissimo volume una canzone che ascoltavo sempre, appena entrato nella macchina di mamma e dopo aver messo la solita cassetta. Era un suono lievissimo, quello che basta per annullare un silenzio che dal dentista non deve esserci. Ci misi un po' a riconoscere 'my name is luka' di Suzanne Vega. In quel momento ascoltavo la canzone e i miei pensieri, mentre le chiacchiere del dentista e dell'assistente erano il sottofondo. Fino a quando la voce dell'assistente non disse il mio nome. L'attenzione si spostò dalla canzone alla sua bocca, che però aveva finito di parlare. Mi era parso di cogliere un tono interrogativo. Ma cosa mi aveva chiesto? Forse vedendomi concentrato, magari fissando mio padre o il dentista o lei stessa senza accorgermene, mi aveva chiesto un parere su qualcosa. Ma su cosa? Cosa dovevo rispondere? Dissi solo: "beh, c'è anche una bella canzone". L'assistente e il dentista mi guardarono perplessi. Forse loro non la stavano ascoltando.
Un paio di anni fa, ero dal dentista. Io avevo finito, mentre mio padre era ancora sulla poltrona del paziente. Quando entrai vidi lui (seduto e con uno specchietto in mano intento a vedere la differenza tra il suo dente nuovo e tutti gli altri), il dentista e l'assistente erano in piedi, vicino alla poltrona. C'era qualcosa di familiare nella stanza, e non mi riferisco a mio papà. Per un attimo stettu in piedi a fissare qualcosa a caso cercando di capire perché quella sala mi faceva pensare a quando andavo a scuola, da piccolo, accompagnato da mia madre. Ci misi un po' per riuscire a sentire che, non so da dove, proveniva a bassissimo volume una canzone che ascoltavo sempre, appena entrato nella macchina di mamma e dopo aver messo la solita cassetta. Era un suono lievissimo, quello che basta per annullare un silenzio che dal dentista non deve esserci. Ci misi un po' a riconoscere 'my name is luka' di Suzanne Vega. In quel momento ascoltavo la canzone e i miei pensieri, mentre le chiacchiere del dentista e dell'assistente erano il sottofondo. Fino a quando la voce dell'assistente non disse il mio nome. L'attenzione si spostò dalla canzone alla sua bocca, che però aveva finito di parlare. Mi era parso di cogliere un tono interrogativo. Ma cosa mi aveva chiesto? Forse vedendomi concentrato, magari fissando mio padre o il dentista o lei stessa senza accorgermene, mi aveva chiesto un parere su qualcosa. Ma su cosa? Cosa dovevo rispondere? Dissi solo: "beh, c'è anche una bella canzone". L'assistente e il dentista mi guardarono perplessi. Forse loro non la stavano ascoltando.
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