lunedì 28 novembre 2011

è notte, e non c'è nessuno in giro. Scendo con la macchina per una curva stretta  che termina su una via spesso trafficata. Un pezzo di strada che odio, vicino casa mia, dove non manca mai di palesarsi l'inciviltà di certi guidatori. è una una curva quasi sempre in discesa, nel senso che non succede quasi mai che una macchina salga. Ma può succedere, quindi non si può sorpassare, è pericoloso. Proprio l'altro giorno un' NCC, grande e grosso, visto che si era tutti in fila sulla curva per immettersi sull'altra via piena di macchine, ha pensato di superarci invadendo l'altra corsia. Nello stesso momento ha svoltato, per salire, un motorino che si è trovato l'enorme parallelepipedo nero di fronte. Una volta superato questo punto c'è un semaforo, che data la quantità di macchine, non si riesce mai a vedere solo verde. Passato il semaforo, e l'incrocio che regola, devi fare i conti con le macchine parcheggiate in doppia e tripla fila davanti a un bar che, per questo, non ho mai sopportato. Ma anche perchè a giudicare (sì, a giudicare) dalle macchine e dalle persone che sono fuori non deve essere un bel locale. Spesso ad intralciare il traffico sono macchine della polizia, vanno lì, perché per loro è gratis, mi ha detto un giorno un mio amico, dopo le mie colorite proteste.

venerdì 25 novembre 2011

Io sto andando a lezione, passo accelerato del ritardatario (quarto d'ora accademico già passato). Vado di fretta, e se sto pensando non me ne accorgo, nemmeno se ho qualche espressione particolare. Guardo per lo più a terra, sul brecciolino nemico dei frettolosi. Mi accorgo però che nella direzione in cui sto andando, a pochi metri da me, c'è una mano con dei volantini. Cambio leggermente traiettoria. Mentre lo faccio vedo l'appendice della mano, un braccio con tanto di busto e viso. Una ragazza, che guardandomi tende la mano cartacea verso di me, e pronuncia una frase che non ho mai sopportato. Il fatto che abbia parlato significa che quelli non sono dei semplici volantini prendi e getta, gratuiti, che esauriscono in sé stessi (e in genere in poche righe) il loro motivo d'essere, senza eccessive perdite di tempo, con il solo inconveniente di trovare un secchio. Il fatto che lei abbia interagito con te significa che il volantino è un pretesto con immagini che impietosiscono o disgustano, che ti sta per spiegare l'iniziativa di cui fa parte e di cui si è resa promotrice, che ti sta per chiedere dei soldi per una giusta causa.
Liberi di farlo, anche se vado di fretta e se hai visto che ho cambiato direzione, ma il fatto che tu mi abbia detto "dai, però fammi un sorriso", mi farebbe venire fretta anche se il tempo si fosse fermato. E che tu poi abbia aggiunto "non ci sto provando con te, eh" ha definitivamente allontanato ogni speranza che io mi fermi anche trenta secondi ad ascoltarti.
Avere fretta è una buona giustificazione all'essere intolleranti.

Una donna apre la portiera della sua macchina di colpo, molto velocemente, senza notare una moto che è costretta ad inchiodare per evitare lo scontro. Il motociclista guarda la donna attraverso il vetro del suo casco, con uno sguardo che solo i motociclisti che hanno subito un torto stradale sanno fare. La donna si giustifica:
- Beh, se vado di fretta ci sarà un motivo.

domenica 20 novembre 2011

frastornati

Affacciandosi dal quinto piano di un palazzo, a due passi da Piazza Gioacchino Belli, dove abita una mia amica, si ha una straordinaria vista di Roma - delle vie di sampietrini, delle facciate di vecchi palazzi, dei tetti delle case trasteverine fino al cupolone e alle quadrighe in cima al Vittoriano- e del suo cielo, terso in un limpido pomeriggio di novembre. 
Non ho mai visto così tanti stormi in vita mia. Erano almeno una decina, più o meno corposi, anzi, vista l'unità del corpo, più o meno grandi. Uno spettacolo, nel senso di puro intrattenimento; sembrava una vera e propria esibizione nei cieli della capitale, una manifestazione di chissà che cosa. Un cielo gremito di uccelli acrobati, mi avrebbe scritto più tardi la mia amica. è incredibile come riescano a muoversi tutti assieme, come ognuno abbia un suo posto, che mantiene spostandosi, un suo movimento, che non sbaglia mai. è incredibile come tutti lo rispettino, e disegnino un'armonia senza apparente motivo. è incredibile come riescano ad essere così tanti e formare un corpo solo, come riescano ad essere così veloci senza scontrarsi mai.
Mentre io e la mia amica siamo alla finestra, a fumare una sigaretta, lei con un libro in mano, chiedendomi aiuto su un passaggio che non le è chiaro, e io con un cellulare, chiedendole aiuto per trovare le giuste parole di un sms. E li osserviamo affascinati.

- Hai presente quel racconto di Calvino sugli storni che sta in un libro che però non mi ricordo...Palòmar!
- Pàlomar, casomai. No, non ce l'ho presente.


venerdì 18 novembre 2011

Ho un quaderno che avevo.

Pochi giorni fa stavo per scrivere un post. Avrei scritto che avevo un piccolo quaderno, quindici per dieci, di carta riciclata, poche pagine totalmente bianche e la copertina nera, tutta nera eccetto una scritta argentata: "Quaderno", e due righe, sempre argentate, tracciate sotto la scritta, a cui tenevo, quando ancora lo avevo. Avrei scritto che usavo quel quaderno per rendere materiali, in qualche modo, delle idee che mi venivano. Scrivevo la data, dicendomi ogni volta che non aveva importanza (ma almeno capivo il confine tra un pensiero e l'altro), e appuntavo sotto qualche parola. Usavo sempre la stessa penna, attaccata al quaderno che mettevo in tasca ogni volta che uscivo. La scrittura però era sempre diversa, una volta avevo scritto in autobus e le buche si vedevano sulle lettere, una volta seduto sui gradini della facoltà, un'altra sdraiato su un prato, o in mezzo alla notte con una grafia ancora addormentata. Avrei scritto che alcune di quelle parole  erano diventate dei post (ad esempio quello sulle cicatrici del tempo, e qualche altro). Che era una strana sensazione quella di stare fermo in mezzo a tanto movimento, a tante persone, in metro, in autobus o nel viavai dell'università, a scrivere, cercando di fermare in poche e tremolanti parole un pensiero, da rielaborare con calma. Che non sempre riuscivo poi a decifrare la mia scrittura, asino di natura, e mi rimproveravo, per come avevo scritto ma soprattutto per come non riuscivo a leggere. Ma avrei scritto soprattutto che un giorno, quel quaderno, me lo sono perso. Che l'ho cercato, che ho chiesto se qualcuno l'aveva visto. Che non ne ho preso un altro, tanto avrei perso anche quello, mi sono detto. E poi, a che serviva scrivere quattro minchiate ogni tanto? tanto le leggo solo io, già le so, non ho bisogno di farmi una foto per guardarmi. Poi avrei scritto che sono passate settimane e poi mesi. Che non ho più pensato a quel quaderno, né a un suo sostituto.
Oggi, prendendo un libro in camera mia, quel quaderno mi è cascato addosso. E tutte le cose che avrei scritto le ho scritte lo stesso.

lunedì 14 novembre 2011

Allegoricamente

La notte c’era stato uno di quei temporali che sembrano voler entrare a tutti i costi dentro casa, scuotendo le serrande e picchiettando sui vetri, per allagare sogni e pavimenti. La mattina, fuori dalle finestre sprangate, minacciosa o tranquillizzata, è arrivata in silenzio: il suo umore è un mistero, al di là delle mura.
Quando si alza è consapevole di quello che è successo, dell’impetuosità della notte e della ritrosia velata della mattina. Potrebbe scoprirla in un attimo, affacciandosi da una finestra o uscendo in balcone. Ma preferisce accendere la luce. Si veste, fa colazione, si lava. Nel giro di venti minuti è pronto ad uscire. Dal portaombrelli, all’ingresso, fa capolino un manico, su cui si posa il suo sguardo mentre abbassa la maniglia della porta. Si scuote dagli occhi quell’immagine e chiude la porta dietro di sé.
Odia porsi domande quando teme la risposta.