L'altro giorno ero in macchina e pensavo. A quell'ora del primo pomeriggio, su quella strada della periferia di Roma non c'è quasi nessuno e io guidavo con la mente un po' alla strada e un po' per conto suo (ogni tanto pensi senza troppa attenzione: segui il filo dei pensieri e magari sobbalzi scoprendoti ad un considerazione troppo ardita: questa è la mente ''un po' per conto suo''. Ogni tanto guidi senza troppa attenzione : segui la linea della strada e magari sobbalzi ad una buca che non avevi visto: questa è la mente ''un po' alla strada'').
Insomma guardando allo specchietto retrovisore, quello posto all'interno della macchina al centro del prabrezza, retrovedo - oltre alla strada che ho appena percorso- il lato destro del mio viso. Senza volerlo mi soffermo, forse perché il sole la schiarisce con insistenza, sulla guancia e in particolare sulla linea rossa che le fa compagnia da una dozzina di anni. Questione di un attimo, ma la miccia dei ricordi è stata innescata. Ricordo con precisione quello che è successo quel giorno dell'estate del '98: avevo otto anni e giocavo a pallone nel campetto di un centro estivo. Rincorrevo il pallone che dopo pochi secondi avrebbe battuto inesorabilmente contro la rete che delimitava il campo decretando un'esiziale rimessa laterale per la squadra avversaria. Il piccolo eroe che era in me pensò di impedire a tutti i costi il contatto tra la rete e il pallone, a costo di schiantarsi contro la rete. Il piccole eroe si schiantò, con la guancia, su un pezzo di rete che, liberatosi dalla maglia di rombi che il resto della rete formava e di fatto cessando di essere rete ma diventando un ben più temibile filo appuntito (fil di ferro ricoperto di plastica?), mi graffiò profondamente la guancia. Caddi a terra e il piccolo eroe che era in me, tutt'altro che sopito, chiese "è uscita la palla?". Ricordo anche la corsa al rubinetto per sciacquarmi il viso, i vari "aiha" dei coetanei che mi circondavano, la tardiva consapevolezza che quello non era ''un graffietto'', il ghiacciolo che mi diedero al bar del centro estivo (un liuk, "neanche me lo posso mangiare dopo,non mi piace" pensai) da mettere sulla guancia fino all'ospedale, e i 4 punti che mi misero. Non ricordo nessun altra partita a quel campetto.
La cicatrice sulla guancia mi collega a quella sulla sopracciglio. Anche in questo caso ricordo tutto. Il punto della piscina in cui ero, il mio braccio sinistro che si allungava a strattonare il costume dell'avversario, il rumore secco, subacqueo, dell'urto tra il gomito dell'avversario e il mio sopracciglio. Lo stordimento, lo stupore sul volto dei miei compagni di squadra, le scuse dell'avversario. E anche qui la corsa all'ospedale. Sei punti.
Guidando con la mente un po' alla strada e un po' per conto suo penso che se dovessi immaginare la memoria, me la immaginerei come un insieme di segni. Che ogni ricordo è una cicatrice.
E sobbalzo: una buca.
L
Nessun commento:
Posta un commento