Posterulam era una piccola porta situata nella parte posteriore degli edifici, in un luogo nascosto. La postierla era quindi una porta segreta usata nei castelli e nelle fortezze come uscita di emergenza.
lunedì 21 marzo 2011
scarpe
Prima o poi arriva il momento in cui le scarpe devono essere cambiate (arriva per chi non cambia scarpe ogni settimana). Perché non sono più scarpe: sono rotte, scucite, entra l'acqua quando piove, il piede è traballante e ogni passo è una scommessa. è arrivato quel momento e hai comprato queste scarpe , e ora se ne devono andare perché quel momento è tornato. In questo momento provi un odio rasseganto, levigato dall'abitudine e dalla necessità. Eri legato a queste scarpe, come anche a quelle prima e, speri, a quelle che comprerai. Ti ostini a non buttarle ma l'hai già fatto, da quando tornavi a casa con i calzini bagnati sulla punta e sul tallone a causa delle fessure. Comprerai delle scarpe nuove che diventeranno vecchie, cui ti affezionerai e che butterai; per far conoscere altre scarpe ai piedi bagnati.
martedì 15 marzo 2011
Sai che ti dico Homo sapiens?
Ti sta bene morire così!
Hai anche la presunzione di chiamarti sapiens!
Basi la tua sopravvivenza su energie che non riesci a controllare.
Pensi di essere così intelligente da prevedere tutto e da poter costruire centrali nucleari nei luoghi più sismici del pianeta.
Poi quando qualcosa va storto cominci ad avere paura della natura, incertezza per il futuro, e ritorni sui tuoi passi.
Non vedi quanto è patetico preoccuparti della sicurezza della tua centraletta nucleare, quando basta che una sola in tutto il pianeta esploda per causare la tua estinzione?
Pensi che l'atomo si fermi alla dogana, e allora devi proprio estinguerti H. sapiens.
F
Hai anche la presunzione di chiamarti sapiens!
Basi la tua sopravvivenza su energie che non riesci a controllare.
Pensi di essere così intelligente da prevedere tutto e da poter costruire centrali nucleari nei luoghi più sismici del pianeta.
Poi quando qualcosa va storto cominci ad avere paura della natura, incertezza per il futuro, e ritorni sui tuoi passi.
Non vedi quanto è patetico preoccuparti della sicurezza della tua centraletta nucleare, quando basta che una sola in tutto il pianeta esploda per causare la tua estinzione?
Pensi che l'atomo si fermi alla dogana, e allora devi proprio estinguerti H. sapiens.
F
sfatalismo
Sto diventando fatalista: c'è un destino predeterminato che decide come vanno le cose, cioè, non è che le decide, le cose vanno così punto, e tu non puoi farci niente. Puoi farci qualcosa, ma il destino già lo sapeva, è per questo che l'hai fatta. A volte sono talmente certo che sto per fare una cosa, che mi permetto di non farla. E succede lo stesso. Fame saziata senza mangiare, sonno recuperato senza dormire. Il fatto, o il fato, è che mi sento sempre più un pezzo degli scacchi, so come muovermi (se sono il pedone mi muovo di un passo in avanti, se voglio far secco qualcuno lo faccio con un passetto in diagonale come uno sgambetto; eccomi alfiere e taglio, per quanta distanza voglio, se mi è concesso dagli avversari, la scacchiera da un angolo all'altro; o eseguo strane traiettorie a L, verticale o orizzontale, se sono un cavallo) ma non sono io a muovermi. è il destino scacchista; e il suo disegno non mi è per niente chiaro. Ma la scacchiera ha tremato e il tavolino si è spostato di 14 cm. E chissà, lo scacchista è caduto dalla sedia. Stavo diventando fatalista.
L
L
lunedì 14 marzo 2011
I
1. Bisogna avere un lettore immaginario quando si scrive? Chi è il lettore immaginario che ho in mente quando scrivo? è uno e uno solo? è identificabile? sono io? mi scrivo addosso?
2. "A questa terza interpretazione non so se se m'arrischierò a farne seguire una quarta, che s'addirebbe assai bene alla modestia quasi divina di Menard: alla sua rassegnata o ironica abitudine di propagare delle idee che erano l'esatto rovescio di quelle preferite da lui". ( Finzioni di J.L.Borges). Modestia impedisce di trasandare in vanità ed orgoglio. E allora propagando idee contrarie a quelle preferite da lui, il modesto, non preferisce (non porta avanti, non mostra) una persona che non è lui? Non dice qualcosa che lui non direbbe? Non compie gesti che non lo rappresentano? Credo che nel modesto questa abitudine sia rassegnata, involontaria. E dopo il gesto rassegnato, il fastidio, e lo smarrimento: sono io? L'ironico esprime idee contrarie alle sue per rendere in maniera più efficace il suo vero pensiero?
3. Quando si pone una domanda è bene non aspettarsi una risposta.
Sono seduto in macchina, parcheggiato da un po'. La macchina parcheggiata davanti a me sta per uscire: ho avuto tempo di assistere al colloquio fra tre persone che hanno appena finito di parlare, si sono salutate e due di loro sono ora salite in macchina. Una terza macchina (uguale alla mia) mi si accosta. Il suo labiale inequivocabile dice "esci?", il mio, equivocabile, dice "esce quello davanti a me" e il mio indice prova ad aiutare indicando la macchina che ho di fronte. La macchina che mi si era accostata alza la mano come per ringraziare e se ne va. Sono stato scortese?
L
2. "A questa terza interpretazione non so se se m'arrischierò a farne seguire una quarta, che s'addirebbe assai bene alla modestia quasi divina di Menard: alla sua rassegnata o ironica abitudine di propagare delle idee che erano l'esatto rovescio di quelle preferite da lui". ( Finzioni di J.L.Borges). Modestia impedisce di trasandare in vanità ed orgoglio. E allora propagando idee contrarie a quelle preferite da lui, il modesto, non preferisce (non porta avanti, non mostra) una persona che non è lui? Non dice qualcosa che lui non direbbe? Non compie gesti che non lo rappresentano? Credo che nel modesto questa abitudine sia rassegnata, involontaria. E dopo il gesto rassegnato, il fastidio, e lo smarrimento: sono io? L'ironico esprime idee contrarie alle sue per rendere in maniera più efficace il suo vero pensiero?
3. Quando si pone una domanda è bene non aspettarsi una risposta.
Sono seduto in macchina, parcheggiato da un po'. La macchina parcheggiata davanti a me sta per uscire: ho avuto tempo di assistere al colloquio fra tre persone che hanno appena finito di parlare, si sono salutate e due di loro sono ora salite in macchina. Una terza macchina (uguale alla mia) mi si accosta. Il suo labiale inequivocabile dice "esci?", il mio, equivocabile, dice "esce quello davanti a me" e il mio indice prova ad aiutare indicando la macchina che ho di fronte. La macchina che mi si era accostata alza la mano come per ringraziare e se ne va. Sono stato scortese?
L
giovedì 10 marzo 2011
Reminiscenze 2
L'altro giorno ero in macchina e pensavo. A quell'ora del primo pomeriggio, su quella strada della periferia di Roma non c'è quasi nessuno e io guidavo con la mente un po' alla strada e un po' per conto suo (ogni tanto pensi senza troppa attenzione: segui il filo dei pensieri e magari sobbalzi scoprendoti ad un considerazione troppo ardita: questa è la mente ''un po' per conto suo''. Ogni tanto guidi senza troppa attenzione : segui la linea della strada e magari sobbalzi ad una buca che non avevi visto: questa è la mente ''un po' alla strada'').
Insomma guardando allo specchietto retrovisore, quello posto all'interno della macchina al centro del prabrezza, retrovedo - oltre alla strada che ho appena percorso- il lato destro del mio viso. Senza volerlo mi soffermo, forse perché il sole la schiarisce con insistenza, sulla guancia e in particolare sulla linea rossa che le fa compagnia da una dozzina di anni. Questione di un attimo, ma la miccia dei ricordi è stata innescata. Ricordo con precisione quello che è successo quel giorno dell'estate del '98: avevo otto anni e giocavo a pallone nel campetto di un centro estivo. Rincorrevo il pallone che dopo pochi secondi avrebbe battuto inesorabilmente contro la rete che delimitava il campo decretando un'esiziale rimessa laterale per la squadra avversaria. Il piccolo eroe che era in me pensò di impedire a tutti i costi il contatto tra la rete e il pallone, a costo di schiantarsi contro la rete. Il piccole eroe si schiantò, con la guancia, su un pezzo di rete che, liberatosi dalla maglia di rombi che il resto della rete formava e di fatto cessando di essere rete ma diventando un ben più temibile filo appuntito (fil di ferro ricoperto di plastica?), mi graffiò profondamente la guancia. Caddi a terra e il piccolo eroe che era in me, tutt'altro che sopito, chiese "è uscita la palla?". Ricordo anche la corsa al rubinetto per sciacquarmi il viso, i vari "aiha" dei coetanei che mi circondavano, la tardiva consapevolezza che quello non era ''un graffietto'', il ghiacciolo che mi diedero al bar del centro estivo (un liuk, "neanche me lo posso mangiare dopo,non mi piace" pensai) da mettere sulla guancia fino all'ospedale, e i 4 punti che mi misero. Non ricordo nessun altra partita a quel campetto.
La cicatrice sulla guancia mi collega a quella sulla sopracciglio. Anche in questo caso ricordo tutto. Il punto della piscina in cui ero, il mio braccio sinistro che si allungava a strattonare il costume dell'avversario, il rumore secco, subacqueo, dell'urto tra il gomito dell'avversario e il mio sopracciglio. Lo stordimento, lo stupore sul volto dei miei compagni di squadra, le scuse dell'avversario. E anche qui la corsa all'ospedale. Sei punti.
Guidando con la mente un po' alla strada e un po' per conto suo penso che se dovessi immaginare la memoria, me la immaginerei come un insieme di segni. Che ogni ricordo è una cicatrice.
E sobbalzo: una buca.
L
Insomma guardando allo specchietto retrovisore, quello posto all'interno della macchina al centro del prabrezza, retrovedo - oltre alla strada che ho appena percorso- il lato destro del mio viso. Senza volerlo mi soffermo, forse perché il sole la schiarisce con insistenza, sulla guancia e in particolare sulla linea rossa che le fa compagnia da una dozzina di anni. Questione di un attimo, ma la miccia dei ricordi è stata innescata. Ricordo con precisione quello che è successo quel giorno dell'estate del '98: avevo otto anni e giocavo a pallone nel campetto di un centro estivo. Rincorrevo il pallone che dopo pochi secondi avrebbe battuto inesorabilmente contro la rete che delimitava il campo decretando un'esiziale rimessa laterale per la squadra avversaria. Il piccolo eroe che era in me pensò di impedire a tutti i costi il contatto tra la rete e il pallone, a costo di schiantarsi contro la rete. Il piccole eroe si schiantò, con la guancia, su un pezzo di rete che, liberatosi dalla maglia di rombi che il resto della rete formava e di fatto cessando di essere rete ma diventando un ben più temibile filo appuntito (fil di ferro ricoperto di plastica?), mi graffiò profondamente la guancia. Caddi a terra e il piccolo eroe che era in me, tutt'altro che sopito, chiese "è uscita la palla?". Ricordo anche la corsa al rubinetto per sciacquarmi il viso, i vari "aiha" dei coetanei che mi circondavano, la tardiva consapevolezza che quello non era ''un graffietto'', il ghiacciolo che mi diedero al bar del centro estivo (un liuk, "neanche me lo posso mangiare dopo,non mi piace" pensai) da mettere sulla guancia fino all'ospedale, e i 4 punti che mi misero. Non ricordo nessun altra partita a quel campetto.
La cicatrice sulla guancia mi collega a quella sulla sopracciglio. Anche in questo caso ricordo tutto. Il punto della piscina in cui ero, il mio braccio sinistro che si allungava a strattonare il costume dell'avversario, il rumore secco, subacqueo, dell'urto tra il gomito dell'avversario e il mio sopracciglio. Lo stordimento, lo stupore sul volto dei miei compagni di squadra, le scuse dell'avversario. E anche qui la corsa all'ospedale. Sei punti.
Guidando con la mente un po' alla strada e un po' per conto suo penso che se dovessi immaginare la memoria, me la immaginerei come un insieme di segni. Che ogni ricordo è una cicatrice.
E sobbalzo: una buca.
L
lunedì 7 marzo 2011
disagi
Eravamo in pausa. Il quarto d’ora accademico passato sulle scale antincendio: il pezzo di cielo nudo più vicino all’aula. Il sole che se ne sta andando dalla facoltà, trattenuto fino a quell’ora soltanto dalla primavera, illumina chissà da dove un cielo che sbadiglia. Tu sei lì, con i gomiti poggiati sulla ringhiera del terzo piano a fumare, guardando giù verso il prato che sembra stanco anche lui; sarà più verde domattina. Il tuo sguardo sembra seguire il filo dei tuoi pensieri o la traiettoria disegnata dalla cenere della sigaretta che cade giù verso l’erba fresca. Il grigio e il verde non stanno male insieme. Ti sei accorto della presenza di una tua compagna di corso accanto a te e non sai se parlarle o no. Tu poi non sei uno tipo risoluto, e nell’indecisione lasci sempre che i fatti si susseguano come se tu non esistessi . Lei si aspetta che tu le dica qualcosa o neanche si ricorda di averti visto a lezione? Perché dovrei dirle qualcosa io e non lei? Perché ha scelto di mettersi così vicino a me? Lei sta pensando le stesse cose che penso io non si è neanche accorta della mia presenza?
-Che orario, eh? Tu non fumi? Ah scusa, ti da fastidio il fumo? In realtà neanche io dovrei fumare. Pensa che ho letto su internet che ‘’ai pazienti come noi è sconsigliato perfino di stare vicino a un fumatore’’. Ma chi se ne importa…
Le diresti questo, ma guardi la cenere che cade giù.
L
L
sabato 5 marzo 2011
Pronti per cominciare
Ogni volta succede la stessa cosa. Ho infilato la chiave nella serratura, tirato leggermente la porta verso di me, girato la chiave, spinto la porta, sfilato la chiave, aperto la porta e richiuso la porta dietro di me con la mano aperta del braccio sinistro. Sospiro, al buio della casa, magari con la borsa della pallanuoto su una spalla e quella dell’università sull’altra; le lascio cadere a terra. Sospiro benché non sia accaduto niente durante la giornata di diverso da ciò che mi aspettavo. O forse proprio per questo. Accenderò il computer, prima di fare le altre cose. Perché gli ci vuole del tempo,per avviarsi. Il tempo che gli ci vuole lo impiegherò facendo le altre cose. Le altre cose sono viziarmi: fare il caffè, e una sigaretta. La meccanicità dei gesti che sto per compiere mi piace, mi tranquillizza. È accompagnata da rumori secchi, netti: sto per compiere una serie di gesti che porterà una serie di cose da uno stato ad un altro. Nel primo stato le suddette cose sono situate in alto (sopra l’altezza della mia testa) e non sono visibili (sono dietro ante di legno). Nel secondo stato si troveranno all’altezza della mia pancia (sul ripiano della cucina) e saranno visibili. Apro lo sportello della credenza (tum) sopra al lavandino, tiro giù i vari pezzi della caffettiera: poggio la caldaia (tuc) su quella specie di sparti-lavandino che separa le due vasche mentre il serbatoio e il brico (con annessi filtro e guarnizione di gomma) sul ripiano accanto (tin, tuc). Apro la credenza (tum), tiro giù il barattolo del caffè (tunc) e quello dello zucchero (tunc) chiudo lo sportello (stonc). Riempio la caldaia con la giusta quantità d’acqua e il serbatoio con la stessa di polvere di caffè.
Le cartine, i filtri e il tabacco sono nella borsa dell’università. La prendo e, con il caffè nell’altra mano, la porto in camera, dove il computer si è ora svegliato completamente. Lecco la cartina e avvolgo. Caffè da una parte, sigaretta dall’altra.
Ora posso cominciare a scrivere,ora posso far accadere qualsiasi cosa, che è il vizio più grande.
L
mercoledì 2 marzo 2011
Gustare il precaffè.
Girare la manopola del rubinetto. All’inizio sarà un po’ dura ma poi ruoterà fluidamente. L’acqua inizierà a decorrere. Intrappolare la giusta quantità d’acqua nella caldaia. Per accertarsi che la quantità d'acqua sia quella giusta (prerogativa necessaria per la riuscita di un buon caffè) occorre stabilire un contatto visivo con la valvola di sicurezza, dall’interno della caldaia. Fare attenzione a stabilirlo proprio con l'interno della caldaia, giacché -sebbene sia più semplice vedere la valvola di sicurezza al di fuori della caldaia- l’acqua del rubinetto deve essere depositata all’interno della caldaia, e la giusta quantità è quella che arriva proprio al livello della valvola di sicurezza. Per stabilire suddetto contatto è necessario, quasi sempre, abbassare la testa e aguzzare la vista dal momento che la caldaia risulta essere poco illuminata e quindi la valvola difficilmente individuabile. Una volta terminata questa operazione notare come il serbatoio, a forma di imbuto, si incastrerà perfettamente sopra la caldaia. Riempirlo con la polvere di caffè in modo delicato ed omogeneo fino a crearne un accumulo che sporgerà modestamente sopra il livello del serbatoio. Non pressare la polvere di caffè. Il brico, che raccoglierà la bevanda, si incastrerà non senza apprensione con la caldaia e le due parti saranno serrate. Collocare la caffettiera sul fornello del gas con fiere aspettative e accendere la fiamma senza alcun risentimento.
L
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