Roland Barthes scriveva così, in Frammenti di un discorso amoroso :
"L’attesa è un incantesimo: io ho avuto l’ordine di non muovermi. L’attesa di una telefonata si va intessendo di una rete di piccoli divieti, all’infinito, fino alla vergogna: proibisco a me stesso di uscire dalla stanza, di andare al gabinetto, addirittura di telefonare (per non tenere occupato l’apparecchio): per la stessa ragione io soffro se qualcuno mi telefona; l’idea di dover uscire tra poco, correndo così il rischio di essere assente al momento dell’eventuale chiamata riconfortante, del ritorno della madre, mi tormenta. Tutti questi diversivi sono dei momenti perduti per l’attesa, delle impurità d’angoscia, poiché, nella sua purezza, l’angoscia dell’attesa esige che io me ne stia seduto in una poltrona con il telefono a portata di mano,senza far niente."
Bisognerebbe avvertire Roland che, come diceva non mi ricordo chi, l'unico modo per far accadere una cosa è non aspettarsela. Una frase che non è vera, dal punto di vista della storia. Ma dal punto di vista delle persone sì.
Mi spiego con un esempio:
prendiamo due persone, fittiziamente chiamate P. e P.. Per distinguerle useremo però l'iniziale del nome di uno, P., e l'iniziale del cognome dell'altro G., giacché anche i cognomi iniziano con la stessa iniziale, la G.
Ebbene, P. e G. sono molto amici e oggi pomeriggio sono usciti insieme per fare delle compere. Bisogna sapere inoltre che oggi P. si è svegliato con un incredibile desiderio di prendersi una cacata di piccione in testa, mentre G., di una cacca in testa, non ne sente affatto il bisogno (e quando esce, con P. ad esempio, non pensa proprio ai piccioni). Verso le 16.00 un piccione svolazzava proprio sopra ai due amici. P. aveva adocchiato quel piccione e cambiava traiettora con lui come se fosse collegato al volatile con un filo, legato al naso. Infatti P. camminava, non senza incresciosi inconvenienti, a testa in sù per meglio seguire l'uccello. Pareva volesse prenderla proprio in piena fronte. G. non capiva la situazione, che P. si esimeva dallo spiegargli, e tutti gli sforzi per convincere l'amico a guardare davanti a sé o quantomeno a tenere un andamento rettilineo risultavano inutili. Non solo, ma quando G. entrava in qualche negozio (erano usciti per fare delle compere) P. diceva che preferiva restare fuori; e G. doveva recuperarlo non senza fatica, dal momento che P. non si limitava ad aspettare fuori dalla porta, ma riprendeva l'inseguimento dal basso. Fatto sta che il piccione doveva aver cacato da poco perché per tutto il tempo in cui i due amici hanno camminato insieme nessuno cacò sulle loro teste. P. e G. arrivano in piazza, si salutano, e ognuno prende la via di casa.
Conclusione:
-P., camminando ancora a testa in sù, starà pensando "mannaggia, oggi non c'è stato verso di farsi cacare in testa da quel piccione stitico del cazzo", e quando starà aprendo il portone di casa avrà senza dubbio il volto rabbuiato. Per P. non è successa una cosa che tanto aspettava che accadesse. Per lui è proprio non successa.
-G., camminando normalmente, starà pensando ai fatti suoi (probabilmente allo strano comportamento del suo amico P.) e quando starà aprendo il portone di casa e un piccione gli cacherà in testa avrà senza dubbio il volto rabbuiato. Per lui e per me è successa una cosa senz'altro spiacevole (per lui, perché gli hanno cacato addosso, e per me perché manda a puttane l'esempio).
Facciamo finta che il piccione non abbia cacato sulla testa di G.. Allora oggi nessun piccione avrebbe fatto la cacca né su P. né su G.; ma P. aspettava quella cacca quindi potremmo dire che, se a P. e a G. fosse chiesto di parlare della loro giornata di oggi, P. potrebbe dire "oggi un piccione non mi ha fatto la cacca in testa"; mentre a G. non verrebbe mai in mente di parlare a proposito di un piccione che non ha fatto la cacca. Ovverosia, sempre fingendo che nell'esempio il piccione che proprio all'ultimo momento ha fatto la cacca su G. non l'abbia fatto, potremmo dire che tale piccione non ha fatto la cacca benché P. se l'aspettasse mentre a G. non gliene fregava un cazzo di quel piccione. (C'è da dire qualcosa su quel benché: in realtà il piccione non avrebbe fatto la cacca, punto. Senza benché e senza turbe di P.). Insomma sulla Gazzetta di Z. (Z. è la città di P. e G.) di domani non ci sarà scritto nulla a proposito del piccione. Quell'evento non è accaduto con buona pace di tutti.
Per questo la frase "l'unico modo per far accadere una cosa è non aspettarsela" non è vero dal punto di vista della storia. Nel senso che il piccione non ha fatto la cacca, anche se c'era G. che non se l'aspettava.
Ma dal punto di vista delle persone è vero. Perché se G. non si aspetta una cacata di un piccione allora non c'è motivo, per lui, perché quella cosa debba accadere e qualora non accadesse, come facciamo finta che sia, non ne sentirebbe la mancanza. Non sarebbe né successa, né non successa. Sarebbe mai esistita.
Che poi, se andiamo a guardare bene quanto successo, P. si aspettava la cacata, ma quello che se l'è presa è stato proprio G.
Forse mi sono lasciato prendere un po' troppo dall'esempio, ma spero che abbia aiutato a capire.
Con questo non voglio affatto schierarmi dalla parte di chi non aspetta, anzi. Secondo me è molto più poetico percorrere strane traiettorie col naso all'insù. Anche se alla fine della giornata nessun piccione ti avrà cacato in testa.
Certo troppa attesa non fa bene, tipo Lucio Fontana, stanco di aspettare l'idea giusta per un quadro, ha sbroccato e ha squarciato la tela.
Lucio Fontana. Concetto Spaziale "Attesa".
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